Le vicende legate a Lucrezia ci sono narrate da Tito Livio. Il triste epilogo della vita di questa donna irreprensibile e coraggiosa diede il via al cambiamento. La cacciata dell'ultimo re di Roma, la fine della monarchia e la nascita della Repubblica furono conseguenze dell'atto estremo di Lucrezia.
Tutto ebbe inizio durante l'assedio di Ardea. La noia portò i figli del re e alcuni nobili a tornare di nascosto a Roma, di notte, per spiare i comportamenti delle proprie consorti. Tutti rimasero affascinati da Lucrezia, moglie di Collatino, figlio di Tarquinio Arunte "Egerio", nipote del precedente sovrano Tarquinio Prisco.
Lucrezia, di rara bellezza ed eleganza, dai modi composti e dalla provata castità, era l'esempio più alto di virtù femminile. Mentre alla reggia, le consorti reali sopperivano alla mancanza di mariti e fratelli dando un sontuoso banchetto, Lucrezia era intenta al telaio, circondata dalle ancelle.
Collatino fece l'errore di invitare i compagni a cena, vantando le doti di sua moglie in paragone alle altre. Sesto Tarquinio, il debosciato figlio del re Tarquinio il Superbo, osservò Lucrezia per tutta la sera, si invaghì di lei e desiderò farla sua. Pertanto qualche giorno dopo, in assenza del cugino, si presentò a Collazia, chiedendole ospitalità. Nel pieno della notte, armato di spada, entrò nella stanza della donna esclamando:
«Lucrezia chiudi la bocca! Sono Sesto Tarquinio e ho una spada in mano. Una sola parola e sei morta!»
Lucrezia si ribellò, incurante del suo destino. Ma Sesto era un meschino dalla mente perversa. Minacciò di eliminare lei e un servo della casa. Avrebbe poi dichiarato a tutti di averli trovati nella stessa camera. La memoria di Lucrezia sarebbe stata infangata per sempre dall'accusa di adulterio.
La donna fu costretta a cedere. Da morta non avrebbe potuto difendere il suo onore. Il mattino dopo, mentre Sesto Tarquinio ripartiva soddisfatto, Lucrezia inviò un messaggero ad Ardea. Suo padre Spurio Lucrezio, Collatino e i nobili Publio Valerio e Giunio Bruto giunsero a Collazia nel più breve tempo possibile. Lucrezia, in lacrime, raccontò loro l'accaduto. Fece il nome di chi aveva abusato di lei e chiese vendetta. Gli uomini tentarono di rassicurarla e di consolarla, ma la donna fu irremovibile.
«Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l'esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!»
Afferrò un coltello che teneva nascosto sotto la veste, si colpì e cadde a terra esanime tra le urla disperate dei congiunti. Il sacrificio estremo e immeritato di Lucrezia, compiuto in difesa di tutte le donne, spinse suo padre e Giunio Bruto a farsi promotori della sommossa popolare che portò alla cacciata di Tarquinio il Superbo e alla nascita della Repubblica. Correva l'anno 509 a.C.
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Particolare del dipinto "Lucrezia" di Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553) |
La spiegazione del mito.
Il racconto di Lucrezia è una leggenda, inventata da Livio in primis e ripresa poi da autori successivi quali Publio Annio Floro ed Eutropio. Lo scopo era quello di "nobilitare" la nascita della Res Publica romana, intesa quale atto di ribellione delle antiche gentes latino-sabine all'elemento dominante etrusco.
Infatti il capo della sommossa, Lucio Giunio Bruto, era un esponente della gens Iunia che vantava una stirpe troiana. La finezza narrativa vede però come protagonista femminile, una donna, Lucrezia, figlia di Spurio Lucrezio Tricipitino, appartenente a un'antichissima famiglia etrusca che però "casualmente" aveva rinnegato gli usi "liberi e licenziosi" del suo popolo di appartenenza per abbracciare il mos maiorum romano.
In tale ottica la figura e il ruolo della donna nella società riprendevano in massima parte e con qualche eccezione, quelli della donna greca, imperniati sul modello ateniese. Infatti nel racconto di Livio, mentre le consorti dei Tarquini si scatenano al banchetto, felici ed esaltate dall'assenza di fratelli e mariti, Lucrezia lavora al telaio con le ancelle. È una scena ripresa dalla concezione classica della donna di greca memoria.
Lo stesso Ettore nell'Iliade omerica ricorda ad Andromaca di pensare meno alla guerra e più al telaio e alla gestione delle ancelle. La morte di Lucrezia, così plateale e teatrale, serviva a far comprendere quali fossero i valori fondanti della romanità del tempo, la base stessa della Repubblica: la fedeltà coniugale, l'onore, la devozione della donna all'uomo e agli interessi della collettività.
Tutto è rapportato in piena contrapposizione alla presunta "deriva morale" dell'aristocrazia etrusca i cui massimi esponenti erano proprio i "debosciati" figli del sovrano. Quando poi, cacciato il corrotto re etrusco Tarquinio il Superbo, si proclamò la Res Publica, si chiuse il cosiddetto cerchio; il popolo romano infatti, tornato romano a tutti gli effetti, chiese a gran voce di depennare lo stesso Collatino, marito di Lucrezia e primo console insieme a Bruto.
Collatino era a sua volta "etrusco" e seppur vittima di etruschi, non meritava la massima carica del neonato Stato. Fu innalzato al soglio consolare Publio Valerio Publicola che "casualmente" apparteneva a una gens di antichissimo lignaggio sabino. Cacciato l'elemento etrusco, ritornò dunque il dominio latino-sabino con i propri valori fondanti. La leggenda di Lucrezia va letta e interpretata in questo modo, considerata nell'ottica di un'azione letteraria e politica di propaganda degli antichi valori repubblicani.
Tito Livio scrisse infatti durante il principato di Augusto. Questi, con grande abilità, impose il suo potere ricollegandosi alle istituzioni repubblicane, segnando quasi una sorta di continuità indolore con il periodo storico precedente. Livio è ritenuto persino un nostalgico dell'epoca repubblicana, dimostrandosi critico verso alcuni aspetti del regime augusteo.
La figura leggendaria di Lucrezia è comunque importante, perché pone un elemento femminile alla base della nascita della Res Publica romana. Ella si fa portatrice di valori dell'epoca che non possono essere assolutamente giudicati in ottica moderna. Allo stesso modo ci confrontiamo ad esempio con l'Iliade, con l'Odissea e la mitologia tutta, espressioni di mondi antichi, quasi ancestrali che sono comunque alla base del nostro sapere e della nostra identità.
A cura di Andrea Contorni
Note e bibliografia:
- "Ab Urbe condita libri" di Tito Livio, I 57 e I 58.
- "Miti Romani. Il racconto" di Licia Ferro e Maria Monteleone. Einaudi (2014).