venerdì 28 marzo 2025

Cerbero: il cane a tre teste guardiano dell’Oltretomba

 

Cerbero, il leggendario cane a tre teste della mitologia greca, raffigurato in un dipinto evocativo mentre sorveglia l’ingresso dell’Oltretomba con sguardo fiammeggiante.

Il mitico Cerbero, il cane a tre teste della mitologia greca, guardiano dell'Oltretomba, fedele ad Ade e simbolo del confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti... 

- A cura di Andrea Contorni - 

Cerbero è il mostruoso cane a tre teste della mitologia greca. Siamo dinanzi a un furioso e gigantesco mastino posto a guardia dell'ingresso degli Inferi, il regno di Ade e della sua sposa Persefone. Il suo compito era quello di impedire ai morti di tornare nel mondo dei vivi e ai vivi di accedere all'Oltretomba. Cerbero possiede un forte simbolismo e un certo fascino che si sono protratti nei secoli tanto da essere presente, per esempio, nella Divina Commedia di Dante Alighieri con un ruolo per nulla marginale. Inoltre, tra i tanti personaggi della mitologia greco-romana, mostruosi o meno, è tra i più ripresi in videogiochi, serie televisive e film cinematografici.

Cerbero è figlio di Tifone, una sorta di titano mostruoso e "fumoso", e di Echidna dal corpo di donna con una coda di serpente al posto delle gambe. Da questa coppia bene assortita nacquero il nostro canide tricefalo, Otro, un altro cane dalla coda di serpe e con due teste, la celebre e velenosissima Idra di Lernia (un grosso serpente marino anfibio con nove teste che rinascevano se tagliate) e la Chimera, formata da varie parti di animali diversi (testa e corpo di leone, una coda di serpente e una testina di capra che spuntava dalla schiena). Eppure Esiodo, poeta greco vissuto nell'VIII secolo a.C., offre nella sua Teogonia (versi 310 - 312) una descrizione di Cerbero più evoluta di quanto scritto poc'anzi:

"Cerbero, il cane dell'Orco, che voce ha di bronzo, gagliardo, senza pietà, che di vivi si nutre, che di capi ne ha cinquanta..."

Cinquanta teste per Esiodo, confermate tre per Robert Graves ne "I Miti Greci: Dèi ed Eroi in Omero" ricoperte non di peluria ma di serpenti e una coda irta di aculei. L'obolo per le anime dei defunti che scendevano nell'Ade era doppio perché all'offerta per Caronte si sommava del miele per placare l'iracondo Cerbero.

Eracle si confrontò con Cerbero nella sua ultima fatica. Lo sconfisse a mani nude per poi portarlo a Micene dal sovrano Euristeo prima di farlo tornare da Ade. Orfeo, sommo artista e incantatore di fiere, lo addolcì con la sua musica nel mentre scendeva nell'Oltretomba per recuperare l'amata Euridice. Cerbero fa parte anche della mitologia romana; nell'Eneide si oppone alla discesa di Enea negli Inferi prima di cadere preda del sonno grazie alla focaccia ricoperta di miele ed erbe soporifere lanciatogli dalla Sibilla.


Eracle porta Cerbero a Micene da Euristeo - Museo del Louvre

In questa meravigliosa hydria decorata a figure nere (525 a.C. circa) conservata al Louvre di Parigi, possiamo ammirare proprio il momento in cui Eracle, armato di clava, porta Cerbero dinanzi al re Euristeo di Micene. Il nostro cane a tre teste non è solo un mostro: è il guardiano del confine ultimo, proprio colui che separa i vivi dai morti. C'è chi interpreta la sua triplice testa come il simbolo dei tre tempi, il passato, il presente e il futuro (Zachary Grey, scrittore britannico del XVIII secolo) o delle tre fasi dell'esistenza umana, la giovinezza, la mezza età e la vecchiaia. Sempre che Cerbero di teste ne abbia tre e non cinquanta o più. Nell'Orfismo e nei Misteri, il mostruoso mastino assume un significato iniziatico; superarlo assume per l'uomo la valenza di penetrare i segreti dell'Oltretomba e rinascere con una nuova consapevolezza.

Nel Medioevo, Cerbero guadagna ulteriore simbolismo. Diviene una vivace figura demoniaca che Dante Alighieri, nella sua Commedia, rende guardiano del terzo cerchio dell'Inferno, confine dei peccatori di gola. In ogni caso, ancora oggi Cerbero incarna il limite, la soglia ultima, il mistero. Ci confrontiamo con una figura della mitologia greca dal forte fascino ancestrale perché rappresenta ciò che l'uomo teme e desidera: il contatto con l'aldilà, il passaggio e il ritorno. A fin dei conti, in un'epoca che ha smarrito il senso del sacro e del confine, Cerbero potrebbe rammentarci che esiste un varco che non tutti possono attraversare e che ogni conoscenza profonda richiede il coraggio di affrontare l'ignoto. Come fece Orfeo, seppur con esiti purtroppo nefasti...

Lo sapevi che? Curiosità su Cerbero!
  1. Cerbero aveva solo tre teste? Non sempre. Alcune fonti come Eschilo, Pindaro ed Esiodo attribuiscono a Cerbero anche cento teste.
  2. Cerbero aveva anche serpenti sul corpo? Secondo alcune versioni, Cerbero possedeva anche una coda di serpenti o serpenti, simbolo del mondo ctonio, al posto della peluria intorno alle teste.
  3. Cosa significa il nome Cerbero? Alcuni studiosi fanno risalire il nome Cerberos a una radice indoeuropea legata al buio e al crepuscolo. Il suo nome potrebbe significare "colui che appartiene alle tenebre".
  4. Esistono altri "Cerberi" nel mito? Sì, nella mitologia norrena ritroviamo Garmr, un cane infernale che sorveglia l'entrata di Hel, il Regno dei Morti. Garmr è un feroce mastino col pelo lordo di sangue. Le anime dei defunti possono ammansirlo con una focaccia imbevuta del proprio sangue.
  5. Il mostro Ammit, nella mitologia egizia, può essere assimilato a Cerbero? Con qualche forzatura perché Ammit dalla testa di coccodrillo e dal corpo di leone e ippopotamo, non era considerato un guardiano del mondo sotterraneo. Ammit la Divoratrice assiste al rito della pesatura del cuore del defunto con la Piuma di Maat. Se il cuore era pesante le veniva dato in pasto e l'anima del defunto era condannata all'oblio eterno.

mercoledì 26 marzo 2025

Pentesilea, la regina delle Amazzoni e il suo tragico duello con Achille

Immagine liberamente ispirata a Pentesilea, regina delle Amazzoni

Pentesilea, la donna che sfidò Achille. La morte che svela il volto dell'amore nel mito oscuro e immortale della regina delle Amazzoni... 

- A cura di Andrea Contorni

Pentesilea fu per Troia e per il suo sovrano, Priamo, una sorta di ultima speranza di vincere il conflitto o quantomeno di sopravvivere alla marea Achea che stava per investire il regno dopo la morte del principe Ettore. In questo destino pieno di aspettative la possiamo accomunare al già trattato Memnone. Sia Memnone che appunto Pentesilea venivano da Oriente, giunsero a Troia nel decimo anno di guerra e morirono per mano di Achille, lottando come leoni fino allo stremo delle forze. Le gesta di questa formidabile donna non sono narrate dall'Iliade ma dal poema post-omerico perduto Etiopide con raccordi e diverse versioni raccontate da altri autori.

Andando con ordine. Pentesilea era una semidea perché figlia di Ares, dio della guerra, e di Otrera, prima regina delle Amazzoni. Aveva tre sorelle, Ippolita, Antiope e Melanippe, tutte Amazzoni. Pentesilea fu colpita da una maledizione divina quando per errore o per volontà (non lo sapremo mai) uccise Ippolita al banchetto di nozze di Teseo, re di Atene, e Fedra. Ippolita comparve alla cerimonia alla testa di un esercito di Amazzoni con l'intento di eliminare tutti. Si animò una mischia furiosa dove cadde per mano della sorella. Qualcuno ritiene che il delitto avvenne accidentalmente durante una battuta di caccia. Sta di fatto che Pentesilea divenne regina delle Amazzoni succedendo alla consanguinea morta. Tormentata dalle Erinni e malvista dagli dèi, Pentesilea giunse a Troia per espiare la sua colpa accompagnata da dodici combattenti. E lì trovò Priamo e Paride che la accolsero come un vero e proprio dono dell'Olimpo (ce lo racconta Ditti Cretese).

Austera, bellissima, fiera e impavida, Pentesilea era regina delle Amazzoni, il popolo di donne guerriere stanziato in Asia Minore nelle regioni della Scizia e del Ponto. Scesa in battaglia portò scompiglio tra l'esercito acheo. Il poeta greco Quinto Smirneo (III secolo d.C.) ricorda nel suo poema "Posthomerica" alcuni celebri caduti per mano della regina tra cui il medico Macaone, figlio del dio della medicina Asclepio, il principe tessalo Podarce e il coraggioso Elasippo. Quando il mastodontico Aiace Telamonio se la ritrovò dinanzi con un dardo da lei scagliato che gli sfiorò l'elmo, decise di ritirarsi giudicando Pentesilea una combattente non degna di battersi con lui. Achille invece non si tirò indietro.

Il duello tra i due in realtà non durò molto. Per quanto Pentesilea fosse abile con le armi, non era nulla in confronto all'immortale Achille. Cadde ben presto trafitta in pieno petto dalla lancia del Pelide. Questi andò a spogliare della corazza il cadavere della donna. Ma quando le sfilò l'elmo, rimase colpito dalla sua bellezza e dalla dignità. Fu preso dal rimorso. Tersite, il più brutto degli Achei, iniziò a deriderlo, decantando il presunto amore dell'invincibile eroe per una defunta. Achille uccise Tersite sul posto.

"[...] abbatté molti nemici tra i quali Macaone, ma venne infine uccisa da Achille il quale si innamorò dell'Amazzone dopo averla vita morta e uccise Tersite che si beffava di lui." (Pseudo-Apollodoro. Epitome 5.1.)

Questo passo dello Pseudo-Apollodoro ci introduce alla versione più oscura e perversa del mito di Pentesilea, riportata da autori ellenistici e romani tra cui il già citato Quinto Smirneo e Luciano di Samosata. Nel momento stesso in cui è colpita a morte, la guerriera cadendo a terra perde l'elmo mostrando il volto. Sulla sua testa pendeva una maledizione lanciata da Afrodite in seguito alla morte di Ippolita: Pentesilea era condannata ad essere violata da chiunque avesse contemplato il suo viso. Per tale motivo l'Amazzone indossava un elmo che lasciava liberi solo due spiragli per gli occhi. Achille pertanto, preda del volere divino, si innamorò di Pentesilea compiendo un atto di necrofilia. Tale scempio del corpo della donna è appena accennato, spesso sottointeso in narrazioni ambigue che dovevano stimolare la morbosità dei lettori.

Una riflessione conclusiva: quale messaggio possiamo cogliere da tutta questa vicenda? Consideriamo la condizione femminile nella civiltà greca. Le Amazzoni rappresentavano il rovescio del mondo ellenico: donne fiere, autonome, capaci di fronteggiare e talvolta superare gli uomini sul piano della forza e del coraggio. Aiace Telamonio, archetipo del guerriero greco, si rifiuta di combattere con una donna, come se affrontarla fosse indegno. Achille, invece, la uccide, la smaschera e la trasforma in un oggetto sospeso tra il desiderio e l’oltraggioIl mito sembra allora assumere i contorni di un monito culturale, un racconto esemplare utile a ribadire - anche attraverso l’eccezione tragica - quale dovesse essere il ruolo "corretto" della donna nella società greca: silenziosa, subordinata, mai vincente.

martedì 25 marzo 2025

Memnone, il figlio dell’Aurora: l’eroe che osò sfidare Achille

 

Illustrazione liberamente ispirata all'eroe Memnone figlio di Titone e di Eos

Figlio dell'Aurora (Eos), re d'Oriente, Memnone sfidò Achille nell'ultimo anno della Guerra di Troia. E trovo l'eternità nel canto dei Colossi che portano il suo nome...  

- A cura di Andrea Contorni - 

Per raccontare la triste vicenda di Memnone, devo prima accennare con celerità a quella del padre che si chiamava Titone. Questi era figlio di Laomedonte, quinto re di Troia, e di Strimo. La coppia regale di figli ne ebbe dodici (sei maschi e sei femmine) tra cui il celebre Priamo, l'ultimo sovrano troiano prima della distruzione della città per mano degli Achei di Agamennone e Menelao. Titone è protagonista di un mito a parte. Era un uomo talmente bello che Eos (Aurora), la dea dell'alba, lo rapì per portarlo in Etiopia. I due si sposarono ed ebbero due figli, Memnone ed Emazione. Sembrava andare tutto bene fino a quando l'innamorata Eos, terrorizzata dalla prospettiva di perdere Titone che era mortale, ebbe la geniale idea di chiedere a Zeus di renderlo immortale dimenticandosi di aggiungere per lui anche l'eterna giovinezza. Titone sconfisse la morte ma non la vecchiaia. Divenne una sorta di mummia, vivo ma incapace di muoversi dal suo giaciglio. La sua voce stridula era talmente fastidiosa che Eos lo tramutò in una cicala. Il rumoroso insetto che contraddistingue col suo verso i giorni d'estate nacque così.

Nel frattempo, la dea dell'alba aveva cresciuto Emazione e Memnone, entrambi con la pelle scura. Fin da infanti avevano accompagnato la madre a bordo della biga trainata dai cavalli Faetonte e Lampo, nel suo compito mattutino di aprire le porte al sole nascente. In pratica la loro abbronzatura era diventata perenne. Una volta grandi, fu provveduto a metterli a capo di due floridi regni. Memnone da Susa regnava sull'Oriente, Emazione sull'Etiopia. Ma mentre il primo era un uomo giusto e leale, il secondo era brutale e crudele, talmente efferato da incorrere nelle ire di Eracle che lo eliminò senza remore. L'eroe delle dodici fatiche consegnò poi i domini del defunto re al fratello Memnone che si ritrovò a governare un regno sterminato.

In quel tempo infuriava la Guerra di Troia. Morto Ettore, Priamo decise di chiamare in soccorso il nipote Memnone, suo alleato. Questi rispose con entusiasmo al richiamo del sangue familiare. Partì alla volta della città assediata con un esercito dai numeri impressionanti tra etiopi, susiani, indiani e assiri. Si presentò a Troia indossando un'armatura forgiata dalle mani di Efesto e la spavalderia tipica di un giovane semidio. E fu così che in un'alba immobile, quando la guerra di Troia sembrava ormai consumata, giunse da Oriente un eroe splendente. Figlio dell'Aurora (Eos) e del principe troiano Titone, si chiamava Memnone e da subito si distinse sul campo di battaglia. Uccise tantissimi Achei arrivando a ferire anche il potente Aiace Telamonio. Inseguì il carro dell'anziano Nestore, eliminando dapprima il cavallo e poi il cocchiere. Perirono anche Terone ed Ereuto scudieri di Nestore che a un passo dalla morte, invocò l'aiuto del figlio Antiloco. Questi riuscì a far fuggire il padre prima di beccarsi il giavellotto di Memnone in pieno petto. L'eroe etiope permise tuttavia ai suoi soldati di oltraggiare il corpo del giovane acheo. Il gesto indispettì Achille che scese in campo per recuperare il cadavere di Anticolo.

Il poeta greco Quinto Smirneo nel poema "Posthomerica" riporta il presunto commento sprezzante di Memnone rivolto ad Achille: "Oggi, spero che sia tu a morire, venga il tuo destino oscuro, sotto la mia lancia. Tu da questa mischia non sfuggirai vivo! Sciocco, perché hai sterminato crudelmente i Troiani, dichiarandoti il più potente degli uomini? Poiché ti vanti di essere l'immortale figlio di una Nereide?"

In realtà Achille, tranne per il tallone, immortale lo era davvero. Le minacce di Memnone appaiono pertanto parole al vento. Il figlio dell'Aurora duellò con il Pelide. Si dimostrò un guerriero indomabile. Scalfì la pelle di Achille grazie alle armi di Efesto ma quando subentrò la stanchezza dovette soccombere. Fu trafitto e poi Achille gli mozzò la testa. Il potente esercito orientale, perso il suo condottiero, si ritirò segnando il destino di Troia. Ma la leggenda di Memnone non finì sotto le mura della città di Priamo.

In Egitto nella Necropoli di Tebe, lungo le rive del Nilo, furono eretti circa 3400 anni fa, due gigantesche statue gemelle del faraone Amenhotep III a guardia del Tempio di Milioni di Anni dello stesso faraone. Dopo la conquista macedone, le due sculture erose dal tempo e danneggiate dall'incuria cambiarono nome nei Colossi di Memnone per iniziativa degli storici greci. Perché l'eroe etiope fu associato a due manufatti dell'antico Egitto? Si racconta che all'alba di ogni giorno, dalla statua di destra emanasse un lungo e sinistro lamento. Era consuetudine degli antichi spiegare i fenomeni naturali con il mito. La coincidenza dello strano rumore ad ogni sorgere dell'aurora, fece pensare al pianto eterno di Eos per la tragica fine del figlio o a una sorta di saluto che l'eroe etiope rivolgeva alla madre. Dalle lagrime della dea infatti sarebbe nata anche la rugiada. Invito a leggere questo mio articolo dettagliato sui Colossi di Memnone se volete approfondire l'argomento.

Tornando a Memnone, siamo dinanzi a uno dei miti più poetici e sentiti dell'intero patrimonio culturale greco-romano. Quando il cielo si tinge dei colori dell'alba, è come se l'Aurora cercasse ancora il volto perduto dell'amato figlio. Memnone non fu solo un eroe caduto in battaglia ma il simbolo di un eroismo diverso, lontano da quello degli altri eroi omerici. E per secoli, unico tra tutti, il suo ricordo fu alimentato dalla brezza mattutina e da un suono che attraverso la roccia, caratterizzava ogni Aurora... il canto di una madre disperata per la morte dell'amato figlio.

sabato 22 marzo 2025

Gli Dèi dell’Olimpo: la Genealogia in un’infografica completa

Mitologia Classica, un progetto divulgativo di Andrea Contorni

Chi è figlio di chi? Da dove hanno origine gli dèi dell'Olimpo? 

- A cura di Andrea Contorni - 

La mitologia greca è un universo affascinante. Tra divinità, eroi, mostri e prodigi, la materia è complessa. Per questo motivo ho creato una prima infografica illustrata che intanto ricostruisce l'albero genealogico dei Dodici Olimpi, le principali divinità del pantheon ellenico, quelle più conosciute e al centro della maggior parte dei miti.

I Dodici dèi Olimpi sono coloro che risiedono sul Monte Olimpo: Zeus, Hera, Poseidone, Demetra, Estia, tutti figli delle divinità pre-olimpiche Crono e Gea (Gaia), ai quali si aggiunge Ade che dimora nell'Oltretomba. Poi Atena concepita da Zeus con l'Oceanina Meti, Apollo e la sorella Artemide nati dalla relazione del padre degli dèi con la Titanide Latona, il messaggero Ermes, figlio ancora di Zeus con la Pleiade Maia, Dioniso, ritenuto frutto del rapporto tra Zeus e Semele o tra Zeus e Dione, dea primordiale assimilata alla Dea Madre. Dione sarebbe la madre di Afrodite anche se diversi miti considerano la meravigliosa dea della bellezza nata dal sangue di Urano evirato. L'unica prole concepita dalla coppia divina regale (Zeus ed Hera) è costituita dai fratelli Efesto e Ares

Per cui ricapitolando i Dodici Olimpi sono: Zeus, Hera, Poseidone, Demetra, Estia, Efesto, Ares, Atena, Apollo, Artemide, Ermes, Dioniso e Afrodite. Ne contiamo tredici in realtà ma tra gli autori Estia e Dioniso sono inclusi nella lista con alternanza non concorde.

Ho incluso nell'infografica illustrata altre divinità, figli principali degli Olimpi. La prole divina è numerosissima e necessiterà di altre infografiche più specifiche. Afrodite concepì con Ares alcuni dèi tra i quali il più noto è di sicuro Eros, dio alato dell'amore. Persefone, sposa di Ade, dea degli Inferi e regina dell'Oltretomba, era figlia di Demetra e di Zeus. Tra i molteplici discendenti di Poseidone, tra dèi, mostri e mortali, ho ricordato per ora solo Anteros, dio dell'amore corrisposto, e Cariddi, una ninfa ladra che Zeus fece precipitare in mare trasformandola in una gigantesca e violenta creatura marina.

Per vedere l'infografica in alta qualità in PDF e scaricarla cliccare qui. In alternativa disponibile anche il formato jpg.

Infografica di mitologiaclassica.it sulla genealogia degli dèi Olimpi


venerdì 21 marzo 2025

Il Pomo della Discordia: la leggenda che scatenò la guerra di Troia

IL Pomo della Discordia e il Giudizio di Paride

Una mela d'oro, un giovane e ignaro principe, tre dee in lotta e il destino di una città: la leggenda che segnò l'inizio di una guerra "epica"... 

- A cura di Andrea Contorni - 

La leggenda del Pomo della Discordia è una delle storie più conosciute della mitologia greca. Si studia anche a scuola essendo stato l'evento che di fatto scatenò la guerra di Troia. Un frutto dorato con un'iscrizione ambigua dette inizio a una furiosa rivalità tra le principali dee del pantheon ellenico. Alla base il progetto "criminale" di un'altra divinità che invece di vendicarsi in modo palese, scelse un piano diabolico e a lungo termine. Alla fine dei giochi, tutti, dèi e uomini, pagarono in qualche modo la colpa di aver oltraggiato Eris, signora della discordia, del conflitto, della lite e della contesa. 

Eris è probabilmente tra le divinità più malvagie e spietate della mitologia greca. Omero la descrive come una "piccola cosa" che nel tempo è cresciuta, avanzando sulla terra e nei cieli, seminando odio fra gli uomini e persino tra gli dèi. Eris, spiega Esopo, è un'entità che non va combattuta ma lasciata a sé stessa per evitare che prenda potere, un potere distruttivo. Esiodo tuttavia ne connota anche un lato positivo di aiuto per i mortali; Eris stimolerebbe negli uomini lo spirito di competizione, spingendoli a superare i loro limiti. Incerta è l'origine di questa dea tra chi la considera figlia di Zeus ed Hera (Omero e Quinto Smirneo), chi solo di Hera (Ovidio), chi ritiene sua madre la Notte, una delle divinità primordiali del pantheon greco. Eris conta fratelli e sorelle della sua stessa natura: da Moros, il destino avverso a Tanato, la morte, passando per Oizys, dea della miseria e della sventura, Geras, dio della vecchiaia e Nemesi, la vendetta e la giustizia divina. A Eris dedicherò un post a parte perché è un soggetto davvero interessante. Per ora chiudo ricordando che anche Philotes, dea minore dell'amicizia e dell'affetto, e le Esperidi, ninfe guardiane del giardino dei pomi d'oro, erano sorelle di Eris, quelle evidentemente più buone. Ma fu proprio una semplice mela d'oro a scatenare una delle più terribili guerre dell'antichità, il conflitto tra gli Achei guidati da Agamennone e la città di Troia.

Perché Eris decise di vendicarsi di uomini e dèi? Per un mancato invito al banchetto di nozze di Peleo e Teti, genitori del futuro eroe Achille. I due sposini volevano evitare che il loro momento felice fosse segnato dalla discordia. Pagarono più in là l'affronto con la morte del figlio proprio al termine del conflitto che andò a generarsi da una semplice mela dorata che Eris lanciò tra i convitati con l'incisione "Alla più bella". Hera, la regina dell'Olimpo, Atena, dea della saggezza e Afrodite, dea della bellezza, rivendicarono con presunzione il possesso del pomo d'oro che proveniva appunto dal giardino delle Esperidi. Dopo interminabili liti, si rivolsero a Zeus delegandogli il compito di decidere. Ma questi si defilò con arguzia affidando il compito al più bello dei mortali che rispondeva al nome di Paride, giovane principe troiano, nelle vesti di un umile pastore perché non ancora al corrente del suo ruolo regale. Il padre Priamo, re di Troia, lo aveva infatti abbandonato in fasce sul Monte Ida a causa delle nefaste profezie che pendevano sulla sua testa.

Ermes portò le tre dee da Paride. Ma il suo giudizio non si limitò alla sola preferenza femminile. Fu il frutto di una compravendita. Ogni divinità gli offrì un dono in cambio del suo favore. Hera promise ricchezza, potere e il dominio dell'Asia, Atena, la saggezza e la gloria in battaglia, Afrodite mise sul piatto l'amore e la passione della donna più bella del mondo. E Paride scelse Afrodite non considerando che la donna in questione, Elena, fosse già maritata al potente Menelao, re di Sparta. L'episodio portò al rapimento della principessa da parte del principe troiano. Tutta la Grecia mosse contro Troia in virtù di un patto stipulato proprio per la mano di Elena. La donna, figlia di Leda (proprio quella di "Leda e il Cigno") e di Zeus, era di una bellezza assurda tanto che tutti i sovrani ellenici la volevano in sposa. Ulisse, per evitare guerre fratricide, fece giurare ai pretendenti che tutti avrebbero dovuto accorrere in aiuto del fortunato prescelto, qualora qualcuno avesse tentato di rapire Elena (il famoso "Giuramento di Tindaro").

Perché Elena scelse Menelao? Ebbene sì, Tindaro, papà di Elena, lasciò alla figlia piena libertà di scelta e lei sposò Menelao. Vengono a cadere le teorie, riproposte anche nel film "Troy", che Menelao fosse un uomo violento e debosciato. Elena nel suo innamoramento fatale con Paride fu infatti traviata da Afrodite. A testimonianza di ciò, quando ritornò a Sparta, il suo matrimonio trascorse felice e sereno. Ricordo anche che, morto Paride, Elena fu data in sposa al cognato Deifobo. Nella fatidica notte della caduta di Troia, fu proprio la principessa a introdurre Menelao nella stanza di Deifobo, consentendogli di ucciderlo nel sonno in segno di riappacificazione con il suo primo e probabilmente unico vero amore. Ma questa è un'altra storia...

Quasi tutti i miti hanno una morale o comunque un significato. La leggenda del Giudizio di Paride e del Pomo della Discordia, simboleggia gli aspetti negativi della rivalità e le conseguenze, spesso funeste, dettate dal desiderio non controllato. La vicenda mostra inoltre come un singolo gesto possa avere ripercussioni enormi, tema ricorrente nella mitologia greca. Oggi l'espressione "Pomo della Discordia" viene utilizzata per indicare un elemento di divisione e di conflitto. Si tratta dell'eredità della dea Eris, protagonista di un antico mito che si è radicato con forza nella cultura occidentale.

mercoledì 19 marzo 2025

Anubi e il Sacrario di Tutankhamon: Storia, Simbologia e Misteri dell'Antico Egitto

 

Cassa santuario con la statua di Anubi, rinvenuta nella Tomba del faraone Tutankhamon

Il sacrario di Anubi nella tomba di Tutankhamon: un capolavoro dell’arte funeraria egizia che racconta il mistero, il culto e il potere dell’aldilà. 

- A cura di Andrea Contorni -  

Nella fotografia sopra possiamo ammirare una straordinaria e suggestiva cassa a forma di santuario con la statua di Anubi. È stata rinvenuta nella tomba del celebre faraone Tutankhamon. Oggi è conservata nel Museo Nazionale della Civiltà Egizia a Il Cairo. Anubi è rappresentato sdraiato in forma di sciacallo. E lo sciacallo era proprio l'animale che secondo la tradizione, raffigurava questa divinità nell'iconografia egizia. Il manufatto è di splendida fattura, realizzato in legno stuccato e dipinto di nero con dettagli preziosi: l'interno delle orecchie, le sopracciglia, il contorno degli occhi e la fascia intorno al collo sono rivestiti in foglia d'oro. Da notare inoltre che gli artigli sono in argento. Il tutto evidenziava il grande valore simbolico e materiale dell'oggetto.

Questo iconico reperto faceva parte del corredo funerario di Tutankhamon, il giovane sovrano della XVIII dinastia, la cui tomba fu scoperta dall'archeologo britannico Howard Carter nel 1922. Un celebre scatto dell'epoca immortala il sacrario di Anubi con la statua del dio avvolta in un panno di lino, con una garza sottile sempre in lino e due corone floreali di ninfee e fiordalisi ad adornare il collo. Il drappo, secondo gli studiosi, risalirebbe all'epoca di Akhenaton, padre di Tutankhamon. Il sacrario stesso, anch'esso in legno stuccato e dorato, è decorato con simboli legati ai culti di Osiride e Iside. Poggia su una slitta con due sbarre lignee, utilizzate per il trasporto cerimoniale durante i riti funebri.

Anubi, il dio dalla testa di sciacallo, era il signore della mummificazione, il custode sacro delle necropoli e il protettore del mondo dei morti. Considerato l'inventore stesso dell'arte dell'imbalsamazione e della mummificazione, Anubi vegliava sulle spoglie dei defunti e ne garantiva la corretta preparazione per la discesa nell'Oltretomba. Il suo ruolo pertanto era quello di psicopompo, colui il cui compito era quello appunto di guidare le anime nel loro ultimo viaggio. Il dio sciacallo presiedeva anche alla pesatura del cuore, un passaggio decisivo per il destino ultraterreno del trapassato. La pesatura determinava se un'anima fosse degna di presentarsi al cospetto di Osiride, benefattore dell'umanità e signore del mondo dei morti.

Il cuore del defunto veniva posto sulla bilancia di Maat, dea dell'ordine e della verità. Il contrappeso era costituito da una semplice piuma. Se il cuore pesava più della piuma di Maat, veniva divorato dalla bestia Ammit, una creatura mostruosa formata da parti di ippopotamo, leone e coccodrillo. Un cuore pesante era segno di una vita colma di colpe. L'anima era pertanto condannata al Duat e non destinata alla beatitudine. Solo un cuore leggero ed esente da colpe e atti meschini in vita, permetteva allo spirito del defunto di andare dinanzi a Osiride, a Iside e a Nefti per poi accedere ai Campi Aaru, il paradiso della mitologia egizia.

Nel periodo ellenistico, la figura di Anubi subì un'interessante trasformazione culturale. Il dio sciacallo fu assimilato ad Ermes, il messaggero divino che aveva anche il ruolo di accompagnare le anime dei defunti nell'Ade. Da questa fusione scaturì Ermanubi, una divinità sincretica che univa gli attributi del dio greco alle peculiarità di quello egizio. Un processo del tutto simile coinvolse anche il culto di Osiride che integrandosi con quello di Zeus/Giove dette vita a Serapide, divinità ancora rispettata nel tardo impero romano. Oggi Anubi è al centro di pratiche esoteriche, spesso considerato una manifestazione del diavolo cristiano. Una forzatura anti-storica e senza senso per un dio che mai ha posseduto tratti distintivi negativi nel suo ruolo di custode eterno della soglia tra la vita e la morte.

martedì 18 marzo 2025

Mitologia etrusca: una nuova sezione su mitologiaclassica.it

Mitologia Etrusca a cura di Andrea Contorni

Divinità, riti e simboli di un popolo affascinante: un nuovo spazio dedicato alla mitologia etrusca su mitologiaclassica.it 

- Editoriale di Andrea Contorni - 

Ho abbandonato questo blog un pochino "vintage" da tanto tempo. Nel 2021 fu frutto di un esperimento scolastico di programmazione svolto con mia figlia Giulia. Non è mai stata mia intenzione portarlo avanti né curarlo con costanza proprio per la sua natura temporanea. Nel frattempo la piattaforma "Blogger" gestita da Google ha chiuso, poi è passata di mano e questo piccolo contenitore mitologico è rimasto così, solitario e perso tra milioni di altri siti simili, molti dei quali hanno condiviso il suo stesso destino.

Ma qualche giorno fa guardando i numeri di mitologiaclassica.it ho scoperto con stupore che si tratta di un sito visitato con costanza e apprezzato con articoli che sono consultati quotidianamente. Alcuni su tutti, quello riguardante "La Dea dei Serpenti Minoica", anche "Briseide e l'ira di Achille" e "Eos, la dea dell'alba", hanno raggiunto statistiche impressionanti per un prodotto di nicchia come questo. Da qui la decisione di riprendere in mano il progetto con un piccolo restyling a mitigare di poco l'aspetto di sito primi anni 2000 e l'intenzione di pubblicare mese per mese diversi aggiornamenti. Parlo sempre di articoli di qualità, di sicuro migliori di quelli da me inseriti all'inizio. E già che ci siamo mi sono detto "perché non ampliare la trattazione anche alla mitologia etrusca?" considerando il mio profondo amore per questa suggestiva Civiltà Italica. Sì per me è italica. Preferisco seguire la pista autoctona, supportata inoltre dall'archeogenetica, rispetto a quella orientale, pelasgica o extraterrestre.

La mitologia etrusca è un universo davvero affascinante, ricco di divinità misteriose, culti arcaici e simbolismi profondi. L'influenza greca ha giocato un ruolo importante nel patrimonio culturale etrusco allo stesso modo di quanto gli Etruschi hanno condizionato la cultura romana. Custodi di una saggezza esoterica e profetica, gli Etruschi hanno lasciato tracce di un pantheon complesso caratterizzato da divinità del tutto simili a quelle del contesto greco-romano in unione però con entità uniche e originali. La triade Tinia, Uni e Menrva riprende ad esempio quella costituita da Zeus/Giove, Hera/Giunone e Atena/Minerva. Ma Voltumna, considerato da Varrone il dio supremo etrusco superiore allo stesso Tinia, era una divinità ctonia, legata pertanto al sottosuolo, personificazione di forze sismiche e vulcaniche, che non trova corrispondenze nel pantheon greco-romano. Allo stesso modo cito Vanth, dea alata dai seni scoperti appartenente al mondo degli Inferi. Deteneva il rotolo del destino ed era rappresentata di solito accompagnata a Charun di cui potrebbe essere consorte. Molti studiosi accoppiano Charun al Caronte ellenico e romano perché entrambi psicopompi incaricati di guidare le anime dei defunti nell'Oltretomba. Ma non c'è paragone tra i due... poi vi spiegherò bene il perchè!

Questa nuova sezione sarà uno spazio di ricerca e soprattutto di divulgazione perché la mitologia etrusca non è molto trattata in rete, non come meriterebbe. Non voglio di sicuro ergermi a ruoli che non mi appartengono, il mio augurio è quello di nutrire la curiosità di tutti coloro che amano la mitologia spingendoli, una volta letto un mio semplice articolo, ad approfondire una materia che nella sua complessità simbolica e culturale è letteralmente meravigliosa!

lunedì 17 marzo 2025

Il primo olivo del mondo: il dono sacro di Atena agli uomini

 

Atena, Poseidone e la nascita del primo olivo al mondo

La contesa tra Atene e Poseidone donò ad Atene il suo simbolo più sacro: l'olivo. Un mito di sfide divine, saggezza e prosperità senza tempo. 

- A cura di Andrea Contorni - 

Il primo albero al mondo di olivo sarebbe nato grazie a una contesa divina tra Atena, dea vergine della saggezza, delle arti e della battaglia e Poseidone, signore dei mari e dei terremoti. Ci troviamo in Grecia, di preciso sull'acropoli della futura Atene. Dico futura perché all'epoca dei fatti narrati, la polis era stata appena fondata dal suo primo leggendario re di nome Cecrope. Sovrano giusto e saggio, nato dalla terra stessa, Cecrope era per metà umano e per metà serpentino, simbolo del legame ancestrale tra gli dèi e il mondo mortale.

Sia Atena che Poseidone ambivano a diventare i patroni della nuova città, assicurandosi in tal modo il dominio divino dell'Attica. Il signore dei mari avrebbe scambiato volentieri il suo reame acquatico per uno sulla terra ferma. Si sentiva inferiore ai fratelli Zeus e Ade, considerando i loro possedimenti, rispettivamente il cielo e l'Oltretomba, di gran lunga superiori al suo. Si animò pertanto una sfida tra Atena e Poseidone e a decidere chi dovesse ottenere l'onore di rappresentare Atene, furono chiamati gli uomini. Le due divinità avrebbero dovuto donare ai mortali qualcosa di straordinario, qualcosa che avrebbe migliorato per sempre la vita degli abitanti. Zeus, al fine di garantire un verdetto equo, nominò proprio Cecrope come giudice supremo della contesa.

Poseidone fu il primo a intervenire. Con un gesto possente e solenne piantò il suo tridente nel suolo sacro dell'Acropoli e all'istante dalla terra squarciata scaturì una sorgente. Un'acqua cristallina, simbolo di purificazione e abbondanza, prese a sgorgare senza sosta. Ma quando gli uomini si avvicinarono per berla, si accorsero che era salmastra, salata come il mare da cui proveniva il dio. Non pago, Poseidone volle stupire ancora di più. Chiamò a sé una creatura straordinaria, elegante e maestosa: davanti agli occhi increduli di Cecrope e dei presenti apparve per la prima volta un cavallo, pronto a servire l'uomo in battaglia e nei lunghi viaggi.

Atena però non si scompose. Con la sua lancia colpì la terra con grazia e decisione. In quel punto, tra la polvere e il silenzio, si fece strada qualcosa di completamente diverso: un giovane albero dalle foglie argentee e dai frutti verdi, destinato a crescere forte e rigoglioso. Era l'olivo, dono di pace, emblema del nutrimento e della prosperità. Atena spiegò che l'olio che se ne sarebbe ricavato avrebbe illuminato la notte alimentando le lampade, nutrito gli uomini, curato le ferite e reso sacri i riti.

Cecrope, colpito dalla semplicità e dall'inestimabile valore di quel dono, non ebbe esitazioni. Il cavallo era magnifico, la fonte possente, ma l'olivo avrebbe nutrito il popolo, arricchito la terra e accompagnato la polis nel corso dei secoli. Cecrope scelse Atena. La dea ricevette così il diritto a dare il suo nome alla nuova città che divenne Atene, capitale dell'Attica. Da quel momento il suo sguardo vigile l'avrebbe protetta per l'eternità.

Intorno all'olivo sacro, simbolo del favore divino, fu eretto il santuario di Pandroso, situato sull'Acropoli di Atene accanto all'Eretteo e all'antico tempio di Atena Poliàs. quel primo olivo, piantato dalla mano stessa della dea, divenne oggetto di venerazione per generazioni e generazioni. Si racconta che persino quando l'Acropoli fu devastata dai Persiani, durante le Guerre Persiane, l'olivo, seppur bruciato, gettò nuovi germogli il giorno successivo. Era il segno del favore eterno della dea verso la sua città. Ancora oggi presso il monumento, tra le sue rovine, vive e prospera uno splendido olivo. È stato piantato nel XX secolo per ricordare quel mitico albero che segnò il destino di Atene...

domenica 16 marzo 2025

Mefite: una dea primordiale tra acque sulfuree, Oltretomba e fertilità

Mefite: una dea primordiale tra acque sulfuree, Oltretomba e fertilità

Mefite (Mephite), la divinità arcaica delle acque sulfuree e dell'Oltretomba tra mito, culti ancestrali e il mistero della Valle d'Ansanto. 

- A cura di Andrea Contorni - 

Questo articolo è dedicato a una delle divinità più enigmatiche dell'antico pantheon italico e romano: Mefite o Mephite (Mefitis) ha un nome di origine osco-umbra con riferimento ai vapori e alle esalazioni delle acque sulfuree, suggerendo una connessione con i fenomeni geotermici. Siamo dinanzi a una dea probabilmente pre-indoeuropea, venerata fin dalle epoche più remote, ben prima dell'influenza greca nella penisola italica. Il nostro termine "mefitico", utilizzato per descrivere l'odore pungente proveniente dalle acque solforose, deriva proprio dal nome della divinità. Non dimentichiamo inoltre che il folklore ha trasmesso la sua eco in uno dei nomi del diavolo cristiano, Mefistofele. Da chiarire subito che Mefite, per quanto legata come vedremo anche all'Oltretomba, non possiede alcuna connotazione negativa. Al contrario era una entità divina poliedrica, associata soprattutto alle sorgenti termali e ai vapori sulfurei intesi come elementi curativi e purificatori.

Ho accennato al fatto che Mefite fosse comunque collegata al mondo dei morti. Si tratta di un aspetto significativo del suo culto. I vapori, spesso tossici, provenienti dal sottosuolo erano considerati espressione dell'Oltretomba dominato da divinità quali Plutone e Persefone (Ade e Proserpina nel pantheon ellenico). Pertanto Mefite che di fumi e acque sulfuree era la dea, doveva per forza di cose avere a che fare anche con l'aldilà. Infatti era una divinità ctonia, dunque sotterranea e appartenente alle profondità terrestri che nel mito aveva il compito di guidare le anime nel passaggio dalla vita alla morte. Una sorta di psicopompo paragonabile al Caronte greco-romano e all'etrusco Charun. Per questo motivo i Romani considerarono Mefite affine proprio a Plutone e a Persefone perché capace di muoversi tra i due mondi. Ma alcune iscrizioni la collegano anche alla fertilità dei campi e alla fecondità femminile rafforzando l'immagine di una dea strettamente connessa con la forza dirompente della natura, sia nella sua espressione di vita che in quella contraria di morte.

Il culto di Mefite (Mephite) era diffuso in aree caratterizzate da intensa attività geotermica e vulcanica, lì dove tra fumi e acque sulfuree si credeva ci fossero le porte per l'Oltretomba. Gli studiosi ipotizzano inoltre che, in quanto divinità legata ai concetti di passaggio e di transizione, potesse essere associata anche alla transumanza, il tradizionale spostamento stagionale del bestiame. La teoria sarebbe confermata dalla scoperta di alcune aree sacre a Mefite lungo i tratturi. Il santuario più noto di questa dea si trova nella Valle d'Ansanto in Irpinia (Campania), un'area ricca di laghi sulfurei e gas tossici, ritenuta un accesso simbolico al Regno dei Morti. Le località di Venafro e Sepino in Molise, Rossano di Vaglio in Basilicata e il colle Esquilino di Roma offrono ulteriori luoghi di culto dedicati a Mefite.

Proprio presso il Santuario della Valle d'Ansanto sono state rinvenute delle testimonianze archeologiche che potrebbero appartenere a Mefite: parlo degli Xoana, suggestivi totem lignei risalenti al VI secolo a.C.. Queste arcaiche sculture, di derivazione greca o del tutto autoctone, conservate intatte nei secoli proprio grazie alle condizioni climatiche dei luoghi di ritrovamento, potrebbero essere le più antiche rappresentazioni di Mefite.

Nonostante l'avvento del Cristianesimo, il culto di Mefite sopravvisse per lungo tempo, intrecciandosi con le nuove credenze religiose nel folklore e lasciando tracce nella cultura popolare. Questa divinità primordiale, simbolo della forza naturale e dei cicli di trasformazione, continua a suscitare fascino e interesse ancora oggi.

Sirona, la dea celtico-romana delle acque, della guarigione e della fertilità

Sirona: la dea celtico-romana delle acque, della guarigione e della fertilità

Sirona, la dea celtico-romana delle acque e della guarigione: simboli, culto e il suo legame con Esculapio, Granno e il sincretismo religioso romano. 

- A cura di Andrea Contorni - 

Sirona è una divinità celtico-romana venerata in particolare nelle regioni della Gallia centro-orientale. Il suo culto si estese anche in Germania, in Francia e nella penisola italica. Legata alle acque termali e alla guarigione, Sirona era spesso associata a Esculapio/Asclepio, dio greco-romano della medicina, e al celtico Granno, una divinità solare e delle sorgenti, identificato dai Romani con Apollo fino a diventarne un vero e proprio appellativo (Apollo Granno).

La figura di Sirona si integrò molto bene nel pantheon romano dopo la conquista delle Gallie da parte di Giulio Cesare. Venne accostata a Igea, la figlia di Esculapio, dea della salute e dell'igiene e in alcuni casi anche a Diana, sovrana delle selve e custode delle fonti e dei torrenti. Alcuni studiosi ipotizzano anche un forte legame di Sirona con la luna, basandosi sulla radice del suo nome che potrebbe derivare dalla radice siro- (stella o luminosità) o dalla radice gallica ster- (astro). Tuttavia, le iscrizioni antiche, non molto numerose, confermano principalmente il suo ruolo nei cicli vitali, nei riti di purificazione legati alle acque sorgive e nella pratiche di guarigione.

Le raffigurazioni di Sirona sono ricche di simbolismo. La dea è spesso rappresentata con una ciotola colma di grappoli d'uva per simboleggiare la fertilità, l'abbondanza, il nutrimento e la connessione con la salute. Al suo fianco appare di frequente un serpente che come per Esculapio è richiamo diretto alla rigenerazione e alla sapienza medica. Sirona ha una veste lunga e fluente e anche una corona stellata sul capo, elementi che potrebbero appunto indicare il legame con il cielo e il ciclo lunare.

Santuari e iscrizioni dedicati a Sirona sono stati rinvenuti in diverse località europee: in Germania a Treviri e a Hochscheid, in Francia a Grand e a Bain-de-Bretagne, in Svizzera ad Augusta Raunica. La dea condivide il suo culto con altre divinità celtiche e romane legate alle sorgenti e alla salute. Di Esculapio, di Granno e di Igea ho già parlato, ma cito anche l'arcaico Borvo, dio gallico delle acque sorgive gorgoglianti, integrato anch'egli dai Romani nelle peculiarità di Apollo.

L'entrata di Sirona nel pantheon romano è un esempio positivo del sincretismo religioso praticato da Roma che non imponeva l'eliminazione dei culti locali. Piuttosto li assimilava, riconoscendo il valore delle divinità indigene. Questo processo di fusione culturale permise alla tradizione celtica di sopravvivere all'interno del mondo romano, favorendo la coesistenza pacifica tra antichi dèi e nuove credenze.